
13 Set L’arte terapia come mediazione artistica.
Ascolta: I’ve got life, Nina Simone
Oggi giorno l’arte terapia e le terapie espressive in generale, sono talmente numerose che non sempre è facile capire cosa, come e chi scegliere. Come se non bastasse, nel nostro paese, queste “attività professionali non regolamentate” mancano ancora di un inquadramento legislativo adeguato (norma UNI 11592).
In questo articolo cercherò, quindi, di fare ordine, proponendovi la mia prospettiva. Per farlo utilizzerò una modalità creativo-artistica, a dimostrazione di quanto l’arte possa essere uno strumento di conoscenza. Prendendo spunto da alcune regole geometriche proposte dal Leon Battista Alberti nel suo De Pictura (1435), inizierò col definire dei “punti di fuga”, ossia dei punti verso i quali far convergere i miei ragionamenti. L’utilità è quella di delimitare il “piano di proiezione” all’interno del quale comprendere il mio modo di fare arte-terapia. Secondo l’approccio fenomenologico esistenziale che utilizzo, infatti, la realtà esiste solo in quanto fenomeno che può essere descritto e mai conosciuto oggettivamente per quello che è. Iniziate semplicemente ad immaginare uno spazio tridimensionale in cui l’orizzonte è rappresentato dall’ovvio, ossia da tutto ciò che si suppone ci sia di familiare tra me e voi. In questa sorta di traccia di senso unitaria, il sole splende, la pioggia bagna e l’Italia ha un debito pubblico di circa 2.300 miliardi di euro. Ora, per visualizzare come l’arte possa diventare uno strumento per le relazioni di aiuto, iniziate a circoscriverla utilizzando le seguenti tre dimensioni:
- RICONOSCERSI. L’arte, in quanto modalità di fare le cose con cura, coinvolge così intimamente l’attenzione della persona che essa stessa finisce per trovarcisi rappresentata. L’artefatto, materiale o immateriale, che scaturisce dall’incontro tra realtà e soggetto, può essere visto come una terza parte, a metà strada tra mondo interno ed esterno della persona che ne fa esperienza. Esplorando la creazione, propria o altrui, la nostra attenzione selettiva ci orienta sia verso le somiglianze, con ciò che conosciamo già, che verso le verosimiglianze con ciò che potrebbe appartenerci se, quando e come. In questo modo l’arte diventa un mediatore che ci permette di “stare nel mezzo”, tra noi e il mondo, tra conferma, disconferma e scoperta, in contatto con la nostra mutevole identità in cerca di definizione.
- COMUNICARE. L’arte, in quanto tipologia di linguaggio analitico e immaginativo, dà forma e significato alle cose. L’espressione artistica oltre a ex-premere, far uscire, è collegata all’ex-ponere, ossia all’esporre al mondo qualcosa di noi in cerca di relazione. L’arte, quindi, non solo come sfogo personale, autoreferenziale e possibilmente incomprensibile, ma anche come momento affermativo, nel senso di ad-firmare, fermare qualcosa affiancandogli il proprio nome, e dichiarativo, nel senso de-clarare, mettere in luce qualcosa dotandolo di verso, direzione e, possibilmente, di senso e di uso. In questo modo gli aspetti artistico analogici, di tipo non verbale o paraverbale, presenti nell’artefatto interagiscono con quelli cognitivi digitali, di tipo verbale o numerico, presenti in chi ne fa esperienza.
- RESPONSABILIZZARSI. L’arte, in quanto terreno di unione creativa tra sistema simbolico-digitale e sistema narrativo-analogico, è il luogo dove le attribuzioni di senso e i giudizi soggettivi vengono immortalati. Questi artefatti espressivi permettono un vero cambiamento solo quando la nuova configurazione della realtà torna ad essere adattiva. Per esserlo è necessario che i bisogni della persona trovino una nuova coerenza percettiva, emotiva, riflessiva e pragmatica e che la persona accetti il rischio di essere se stessa. Psichiatri, psicoterapeuti, arteterapeuti, psicologi, counselor, educatori, trainers, coaches, artisti o sciamani, tutti, in misura e modalità differenti, utilizzano l’arte in tal senso. Chiaramente il come specifica il cosa, nel senso che oltre al mediatore utilizzato, che a volte può essere lo stesso, ciò che fa la differenza è il tipo di comunicazione che grazie a lui diventa possibile.
Concludendo, queste sono le conditio sine qua non dei miei interventi di mediazione artistica. Personalmente sono sempre più convinto che l’utilità, l’indifferenza o la dannosità di un intervento che utilizza l’arte per uno scopo educativo, formativo o terapeutico, si giochi all’interno di queste tre dimensioni. Il mio consiglio, per chi volesse provare un’esperienza del genere, è quella di bilanciare le proprie aspettative con le capacità e le modalità del professionista di turno. L’arte può essere panacea e veleno, e la biografia di molti artisti lo dimostra. Una volta confermata la competenza e la compatibilità con il professionista di turno, starà alla persona riuscire ad affidarsi a lui, accettando la parzialità e la vulnerabilità della proprio punto di vista, imparando a confrontarsi con le sue creature sospeso nel vuoto. Solo allora, superando l’ansia del giudizio e scegliendo di correre il rischio di essere se stessa, la persona avrà accesso al cambiamento. Questo è quello che succede quando il mio lavoro risulta efficace. Provare per credere.
Gilberto Fulvi